Giovanna Ludovici

Predicate a ogni creatura

In ricordo di Giovanna Ludovici. Domani, giovedì 16 novembre il funerale a Roma.

di Valentina Raffa

“Te ne sei andata come una leonessa” le ha scritto un’amica su Facebook ed è l’immagine di lei che è forse la più vicina a quella che tutti noi abbiamo avuto ogni volta che l’abbiamo vista sul palco, la chioma rossa che seguiva il ritmo della musica e un corpo gracile che quasi faceva dubitare che quell’energia che si diffondeva intorno emanasse proprio da lei.

Giovanna ha preso alla lettera l’invito di Cristo all’apostolato: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15).

Lei il Vangelo l’ha cantato, intonando con gli All Over Gospel Choir”, il coro che diretto per 10 anni, «quello che si canta nelle chiese di Harlem di oggi: sonorità black, r&b e fusion, ricche di groove e di blues, accattivanti e fresche. Il messaggio gospel resta intatto ma si veste di modernità e di attualità».

È stata membro del Regnum Christi di Roma con il marito Fabio e anche al nostro Movimento ha regalato la sua arte o meglio la sua passione, in diversi concerti a sostegno di “Crescere in Famiglia” e “Angeli per un Giorno”.

Nel 2011 ha varcato le porte di Rebibbia e ha coinvolto le detenute in un progetto che, come lei stessa ha raccontato, “è stata un’esperienza da fare accapponare la pelle”.

Ho insistito per pubblicare quell’esperienza in una sorta di intervista/testimonianza e lei ha saputo trovare le parole per descriverla (che anche a me hanno fatto accapponare la pelle mentre l’ascoltavo):

«Ci sembrava di dare tutto in quell’ora e mezza. Una volta fuori avevamo l’impressione di essere scarichi al punto di non voler fare più nulla se non lì dentro. È stata una scuola per noi, prima che per loro [per le detenute, ndr]. Quest’esperienza ci ha fatto correre il rischio di svalutare tutto il resto, tutto quello che abbiamo intorno. Abbiamo esaminato a fondo le situazioni in cui, in passato, abbiamo creduto di dare qualcosa agli altri e invece eravamo spinti soprattutto dal nostro desiderio di protagonismo. Quest’esperienza è “qualcosa che mi hanno dato” e non “quello che ho fatto”. Nella nostra realtà di vita quel che facciamo ha sempre un ritorno che là dentro non c’era. È bastato davvero poco per darsi veramente e invece, nella vita “reale” entrano spesso in gioco resistenze, apatie, egoismo, chiusura» (qui il testo integrale).

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