Il dono di dare

Il dono di dare

Valorizzare, restituire, liberarsi: questo è dare (Cfr. Mc 12, 38-44).

Dare è una prerogativa umana. Gli animali, in senso stretto, non “danno” nulla. L’essere umano è in se stesso un dono; ciascuno lo è per gli altri, o almeno dovrebbe esserlo. Inoltre, l’essere umano è “donatore” anche per natura. È uno che dà continuamente qualcosa di sé agli altri: un aiuto, una presenza, un insegnamento, un sorriso, un’offerta, un abbraccio, una carezza.

È vero che non sempre diamo cose buone. A volte diamo il cattivo esempio, facce lunghe o risposte che feriscono. Però, in generale, quando si parla di “dare”, normalmente si pensa a un’azione legata alla generosità.

Madre Teresa di Calcutta era solita dire che dobbiamo dare fino a sentire dolore, perché la generosità inizia dove finisce il superfluo, quando diamo anche quello di cui abbiamo bisogno. Il caso della vedova del vangelo, descritto da Marco, è molto istruttivo in questo senso. A differenza di molti ricchi, che davano in grande quantità, lei lasciò solo due monete di scarso valore nel tesoro del tempio. Gesù chiamò immediatamente i suoi apostoli e gli fece vedere che lei aveva dato molto di più di tutti, perché gli altri avevano dato quello che avanzava loro, mentre lei diede quello che aveva per vivere.

Dare è valorizzare. Con la sua azione la donna dimostrò quanto valesse per lei il tempio: più della sua stessa vita. Il suo dono fu, in realtà, un’offerta. Quelle due monete di scarso valore materiale avevano, in realtà, un altissimo valore cultuale: furono il veicolo con il quale lei offrì la sua vita. Questo ci aiuta a comprendere quanto sia prezioso tutto quello che offriamo direttamente a Dio. Ogni offerta è carata all’infinito perché la si offre a Dio. E ancora di più quando costituisce un distacco vitale, come quello di questa donna.

D’altra parte, a Dio interessa in modo particolare quello che gli offriamo attraverso i suoi “rappresentanti”, i poveri e i bisognosi. Tutto quello che diamo loro, Lui lo considera come dato a Lui stesso. In questa linea vale una seconda riflessione: “dare è restituire”. Quando diamo qualcosa, in realtà la restituiamo, perché niente è nostro. Sebbene il patrimonio e i guadagni siano frutto legittimo della nostra fatica, non smettono per questo di essere dono di Dio. Molto probabilmente ci sono persone più talentuose, lavoratrici e battagliere che non possiedono quel che altri hanno ottenuto, con meno talento, lavoro e impegno. Questo si deve al fatto – come segnala Malcolm Gladwell nel suo libro Ouliers – che per trionfare nella vita non bastano l’impegno e la destrezza; sono necessarie le opportunità. Per lo stesso motivo, nessuno può sentirsi padrone, in senso stretto, di quello che possiede. Tutti siamo amministratori di quello che ci è stato affidato, per un fine che oltrepassa l’interesse personale. San Gregorio Magno scrisse, a questo proposito: «Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia» (Regula pastoralis 3, 21, 45).

Infine, “dare è liberarsi”. Quando diamo, ci distacchiamo e distaccandoci ci liberiamo. Un cuore attaccato non può godere della libertà. I possedimenti hanno schiavizzato molta gente. Per questo la Bibbia avverte: «Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore» (Sal 62, 11). Pensare che avere qualcosa ti farà felice è un miraggio. Come ha detto qualcuno: se non sei felice con quello che hai, non lo sarai nemmeno con quello che ti manca. La felicità generalmente va nel senso opposto: quanto più dai, più cresce. Dare è fonte di gioia. Lo abbiamo sperimentato tutti. E il nostro cuore ha un meccanismo per il quale, quando dà, si sente pieno e anche libero. Nessuno gioisce tanto delle cose come chi non si sente attaccato a esse: dare e condividere sono il modo effettivo di ottenere questo distacco affettivo dalle cose.

La vedova di oggi è l’ultimo personaggio che san Marco rappresenta nel suo vangelo prima della Passione di Cristo. Cristo sente di essere davanti a qualcuno che sta simbolicamente facendo dono della propria vita. Però sente anche di essere davanti a una donna che simboleggia Maria, sua madre. In quel momento, sicuramente, Maria era già vedova ed era sul punto di dare molto di più di «tutto quanto aveva per vivere»: era sul punto di dare il proprio Figlio. Maria si convertì così nel più alto paradigma della generosità umana. Che Lei ci ottenga la grazia di comprendere sempre più che dare valore è valorizzare, restituire e ottenere la libertà di cuore.

aortega@legionaries.org

P. Alejandro Ortega Trillo è autore dei libri “Vizi e virtù” e “Guerra en la alcoba”.

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