Qual è la cosa più grande che posso dare?
P. Benjamín Dueñas: “quando uno ha detto sì a Dio non importa dove doni la sia vita, l’unica distanza che conta è quella che esiste tra Cristo e noi”.
Roma, 23 dicembre 2006. P. Benjamín Dueñas Gorostegui, L.C., è nato il 27 giugno 1973, a Città del Messico. È entrato nella Legione di Cristo il 15 settembre 1993, nel noviziato di Monterrey. Ha emesso la professione religiosa a Salamanca, Spagna, il 15 agosto 1995. A Roma ha studiato filosofia e teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 23 dicembre 2006 nella Basilica di Santa Maria Maggiore. È morto il 31 luglio 2018, per un incidente automobilistico.
In occasione dell’ordinazione sacerdotale ha raccontato la storia della sua vocazione.
«Ho sempre pensato che un sacerdote fosse una persona speciale e che tutto, nella sua vita, fosse circondato da mistero. Quello che mai avrei immaginato è che Dio volesse me, come sacerdote e che avrebbe manifestato la sua volontà nella mia vita in modo semplice e naturale e non attraverso l’annuncio di un angelo.
La mia vita è come quella di chiunque altro; sono uno dei 27 milioni di abitanti di Città del Messico. Uno tra tanti, ma non agli occhi di Dio. La mia infanzia è stata abbastanza agitata; lo studio non faceva per me, sebbene i miei genitori fossero insegnanti e portassero avanti una scuola. Io preferivo giocare e non fare i compiti. Sono stato espulso mille volte per cattiva condotta. Penso che se mettessi insieme tutti le note di condotta che ho ricevuto alla primaria potrei tappezzare la mia camera e nonostante tutto Dio mi voleva per Sé. Il vantaggio, in tutto questo è che mia madre, da buona maestra, consapevole di non avere proprio un angelo in casa, è stata esigente con me, però ha avuto anche molta pazienza.
Ho due sorelle maggiori. Durante la mia infanzia è stato veramente come avere una seconda madre o meglio io sono stato un figlio per loro. Durante l’adolescenza invece sono state un incubo; successivamente sono diventate e continuano a essere vere compagne di vita. In casa non ci è mai mancato nulla e nemmeno è avanzato nulla. I miei genitori si sono sempre occupati molto di noi. A scuola partecipavo a tutto quello che mi proponevano: coro, calcio, baseball, missioni e, come diceva mio padre, facevo un po’ di tutto però niente bene.
Poco prima della visita di Giovanni Paolo II in Messico, nel mese di maggio del 1990, ho conosciuto il movimento di apostolato Regnum Christi e ho cominciato a partecipare alle attività e agli incontri. Il primo e principale evento è stato l’incontro con il Papa a San Juan de los Lagos, un evento che ha lasciato un segno profondo nella mia anima, perché ho visto tanti giovani come me condividere la stessa fede senza vergogna anzi con grande gioia; è stato un vero fermento che andava preparando la massa, come una porta che si apre su un nuovo stile di vita, su un mondo del tutto diverso da quello cui ero abituato. Non ero più uno in più e gli altri cominciavano a essere qualcosa per me. Il guscio dell’egoismo si cominciava a rompere. Ho cominciato poi a fare attività di apostolato, partecipavo alle missioni di azione sociale, ai ritiri, ai corsi di formazione e alle feste…
La messa domenicale cominciava ad avere senso e ci prendevo sempre più gusto, sebbene, in realtà non avessi mai smesso di andarci, senza dubbio per l’esempio di mio padre, che sin da piccoli ci portava per mano e quando è arrivato il momento ci ha lasciato camminare da soli ma ci ha sempre guidato con il suo esempio. Così, il mio impegno cristiano andava prendendo forma però non avevo mai pensato al sacerdozio… è stato durante una missione che è cominciato tutto.
Mi sono reso conto che il lavoro pastorale riempiva la mia vita e che la gratitudine della gente era molto grande però niente di tutto ciò era comparabile con la gioia che riflettevano i loro visi quando parlavo loro di Gesù nella catechesi o quando mi aprivano i loro cuori e si sfogavano con me per il solo fatto di essere missionario o “seminario” come dicevano. Ero felice perché loro erano felici con me quindi mi sono chiesto: “Qual è la cosa più grande che posso dare a un’anima se non il perdono di Dio e il Corpo e il Sangue di Cristo stesso? Come sarebbe bello! Però questo non è per me!”. La verità è che avevo paura, tanta paura. I miei amici, la mia ragazza, i miei studi, tutta una vita davanti che mi aspettava… così sono passati gli ultimi anni delle superiori pieno di impegni che soffocavano una voce interiore, la voce di Dio che mi chiamava a essere sacerdote.
Alla fine delle superiori mi sono unito a un gruppo di giovani spagnoli e italiani che arrivavano in Messico per le missioni durante l’estate.
Volevo discernere la chiamata in un ambiente favorevole. Al termine di quelle missioni dissi al Padre che ci accompagnava che non avevo la vocazione che se Dio voleva chiamarmi l’avrebbe fatto più avanti, che per adesso mi sarei iscritto all’università. Però Dio non la pensava allo stesso modo. Il giorno dopo, un missionario ci comunicò che voleva diventare sacerdote, che sentiva la vocazione. Era arrivato dalla Spagna per donare qualcosa di sé però aveva ricevuto qualcosa di molto più grande, qualcosa di inimmaginabile per lui. A sua volta in Spagna sarebbe entrato nel noviziato della Legione di Cristo nella città di Salamanca e oggi è già sacerdote. Questo fu il colpo di grazia. Dio mi ferì profondamente svelando la profondità della mia miseria. Mentre Ramon gli diceva sì, io invece gli dicevo no, per paura, per codardia, per egoismo. Cominciai a piangere e mi era impossibile entrare in una chiesa senza rompere in un pianto dirotto. Perché lui sì e io no? Perché non posso dirti di sì? Questa domanda ha continuato a tormentarmi. Io avevo dato la mia risposta senza chiedermi veramente che cosa volesse Dio. Però avevo preso la mia decisione, pensavo; e i sentimenti finirono per essere soffocati di nuovo dalla quotidianità.
Tornando a casa mi iscrissi all’Università Iberoamericana per cominciare gli studi di architettura e fu lì dove pensai di nascondermi e fu lì dove Dio mi parlò di nuovo. Fu nelle ore di insonnia e di lavoro che Dio mi ha parlato; là nel silenzio della notte ha bussato al mio cuore. Io non mi chiedevo più che cosa volessi io ma: «Signore, che cosa vuoi che io faccia? I miei piani e progetti per tutta la vita? O vuoi che sia un tuo sacerdote?». Dopo diverse notti presi una decisione, mi decisi una volta per tutte a fare la prova per convincermi definitivamente che non avevo la vocazione. Con questa convinzione sono andato al candidantato dei Legionari di Cristo sempre con la speranza che mi dicessero: «Benjamín non fa per te!».
L’ambiente che trovai fu straordinario, non certo per la casa e per la povertà in cui vivevamo ma per i compagni e gli amici che incontrai. Dopo alcuni giorni presi la decisione: «Mamma non iscrivermi all’università, non torno a casa, Dio mi vuole sacerdote legionario». Stando lì se ne andò la paura, Dio mi tese la mano pur nella poca generosità che mostravo. Certamente non m’immaginavo quel che Lui aveva preparato per me.
Ricevetti l’uniforme legionaria il 15 settembre del 1993, nel noviziato di Monterrey, meno di un anno dopo la sua fondazione. L’idea di essere uno dei cofondatori mi incoraggiava, però poco tempo dopo mi chiesero di spostarmi a Salamanca, in Spagna; i sentimenti cominciarono a tradirmi. Perché io? Lontano dal mio Paese, dalla mia famiglia… ricordo che in aeroporto volevo tirarmi indietro ma mia madre mi disse: «Benjamín, Dio vuole così e tu hai preso una decisione, avanti!». Oggi ci ripenso e le sono grata per il suo sostegno; la verità è che quando uno ha detto sì a Dio non importa dove si trovi a dare la sua vita, l’unica distanza che conta è quella che esiste tra Cristo e noi.
In tutti i miei anni di studio e formazione al sacerdozio, tredici in tutto, ci sono stati due momenti che hanno segnato la mia anima e che ricordo con particolare affetto: il primo è stato il mio lavoro a Guadalajara. Da un lato mi ha aiutato convivere con diversi sacerdoti che, con la loro personalità, incarnavano e arricchivano il carisma legionario. Lì ho imparato ad amare le anime, a toccare le loro necessità e a valorizzare la missione del sacerdote, la mia missione. L’altro momento è stata l’esperienza di stare a Roma, vicino al Vicario di Cristo; “Vivere Roma”, “imparare Roma” come diceva Giovanni Paolo II, vivere la sua cattolicità è stato senza dubbio un grande dono e un privilegio, però prima di tutto una grande responsabilità.
Oggi salgo i gradini dell’altare per essere crocifisso con Cristo. E ogni giorno sono sempre più convinto che dietro un sacerdote c’è un uomo, con passioni e difetti, e chi lo rende grande è Dio che opera in lui e attraverso di lui, attraverso il suo amore la sua fedeltà e la sua donazione. Magnificat!
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