missione in carcere

Siete persone detenute: sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo

“Flash Mission” di Gioventù Missionaria nel carcere Due palazzi di Padova

I giovani del Regnum Christi di Padova hanno fatto un’esperienza straordinaria, il primo marzo, proprio in coincidenza con l’inizio del cammino quaresimale di quest’anno.

Grazie alla redazione di “Ristretti Orizzonti”, il giornale realizzato dai reclusi di Padova, hanno incontrato gli ospiti del carcere Due Palazzi di Padova, hanno ascoltato le loro storie, hanno dialogato con loro, seppure in condizioni protette e nel rispetto delle norme carcerarie.

«È stato disarmante» dice Matteo «leggere negli occhi delle persone che avevamo davanti la lucidità con cui affrontano la loro storia, mentre ne sviluppavano il racconto, mista al rammarico. C’era nelle loro parole la consapevolezza di chi ha seguito un percorso interiore, per dare significato al proprio passato e da questo ripartire con speranza, malgrado gli orizzonti ristretti, appunto, della situazione attuale. Ho potuto apprezzare il senso di quello che si chiama scopo rieducativo delle case di detenzione, il valore dell´umanità che a tutti i livelli se ben accompagnata può avere la possibilità di rinascere».

La proposta di una “Flash Mission” in carcere è nata dalla locale sezione di Gioventù Missionaria ed è stata accolta da una quarantina di giovani accompagnati da alcuni sacerdoti legionari di Cristo.

Marilena Tonello ha raccolto le testimonianze di alcuni di loro.

«L´incontro inizia alle 12,45» scrive, davanti al lungo cancello del Carcere Due Palazzi, ma forse è già iniziato prima nel cuore dei giovani che hanno aderito alla proposta, forse spinti dalla curiosità o attratti dalla novità. «Le guardie giudiziarie ci accolgono e dopo i necessari controlli, ci accompagnano verso l´aula della redazione di Ristretti Orizzonti. I nostri passi sono incredibilmente pesanti e mentre ci dirigiamo verso quella stanza, attraversiamo lunghi corridoi dove a destra e a sinistra vediamo alcuni detenuti nelle loro celle».

«La prima impressione, dall’esterno, è stata quella di entrare in un condominio» racconta Emanuel, «Poi quando siamo passati attraverso i vari blocchi, quando chiudevano dietro di noi i cancelli, ho iniziato a sentirmi claustrofobico e ho realizzato dove mi trovavo. La cosa che però mi ha colpito è stato il fatto che parte delle storie raccontate dai carcerati erano simili alla storia della mia vita e questo mi ha fatto riflettere molto su come la scelta decisiva che ognuno di noi fa in circostanze simili ci porti in diverse direzioni, che determinano anche la nostra libertà».

Alla guida della redazione di “Ristretti Orizzonti”, c’è una giornalista, Ornella Favero, da anni impegnata come volontaria in carcere. Ha messo a disposizione le sue competenze, per creare delle opportunità di lavoro per i detenuti e dare loro speranza.

«L´esperienza che abbiamo vissuto in carcere è stata per me unica e davvero significativa» dice Sofia. «Mi hanno colpito l´umiltà e la profonda umanità che si sono rivelate dietro a questi soggetti, uomini come tanti altri, che, a causa della pressione mediatica, spesso siamo portati a demonizzare. Sentendo i loro racconti mi sembrava di essere di fronte a delle persone completamente nuove e profonde che in passato hanno sbagliato, ma che ora, ognuno seguendo le tappe del proprio percorso, possiedono le giuste risorse per partire daccapo.

Andando al di là delle colpe dei singoli individui, è aumentata in me la consapevolezza del ruolo critico che occupa la nostra società, che siamo noi. Incapaci troppe volte di identificare le situazioni di rischio e di disagio sociale, di delinquenza e di sofferenza psicologica e quindi di aiutare. Potremmo in qualche modo “prevenire” molte realtà di cui abbiamo la testimonianza (non solo dal carcere, ma anche dalla cronaca di tutti i giorni), piuttosto che “curare” a danno compiuto. Un ruolo fondamentale in questo viene svolto dalla scuola, ma anche dai servizi sociali e dagli altri servizi che dovrebbe offrire in modo equo ed efficace lo Stato, come ad esempio il supporto psicologico.

Il carcere mi è sembrato un ambiente valido e impegnato nella rieducazione dei detenuti, non solo per le varie attività di lavoro, studio e crescita personale, ma anche perché apre le porte alla comunità. I detenuti, raccontando le loro storie, si assumono le responsabilità delle loro scelte e, condividendo il peso delle loro colpe, iniziano effettivamente a guarire anche psicologicamente. Il pentimento del resto è la chiave per la redenzione terrena e dei cieli».

Le parole dei giovani sembrano confermare quelle di papa Francesco che all’inizio di quest’anno ha inviato un messaggio ai detenuti dei Due Palazzi, in occasione di un convegno sull´ergastolo, organizzato proprio da “Ristretti orizzonti”.

«Siete persone detenute: sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo, sempre la dignità umana deve precedere e illuminare le misure detentive. […] Se la dignità viene definitivamente incarcerata non c’è più spazio, nella società, per ricominciare e per credere nella forza rinnovatrice del perdono. Ma in Dio», conclude il Pontefice, «c’è “sempre un posto per ricominciare, per essere consolati e riabilitati dalla misericordia che perdona».

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